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Forum  >  RISPOSTA ALLE EMERGENZE - COMUNITA' CRISTIANA E PROTEZIONE CIVILE


RISPOSTA ALLE EMERGENZE : COMUNITA' CRISTIANA E PROTEZIONE CIVILE


di Mons. Luciano Baronio


Il presente articolo intende affrontare un tema singolare, quello del rapporto della comunità cristianae della sua azione pastorale con la Protezione civile, quale si é sviluppato e si sviluppa ogni volta in occasione delle emergenze e delle calamità naturali che di frequente, purtroppo,  si verificano sia a livello nazionale che internazionale che ci coinvolgono come uomini e come cristiani chiamati a dare una risposta ai problemi provocati dagli eventi calamitosi. Una risposta possibile se si uniscono le forze e se si sviluppa una competenza che solo una adeguata formazione culturale, morale e tecnica possono garantire. Si offrono qui pensieri e indicazioni pratiche che possono aiutare a muoversi nel solco di una vasta esperienza acquisita attraverso l'impegno di tanti, singoli, gruppi e comunità, che non può essere ignorata, ma ulteriormente arricchita, di volta in volta,  a vantaggio delle popolazioni colpite. Ai cristiani, mentre lavorano con gli altri, é chiesto un "supplemento d'anima" che la spiritualità che loro appartiene come discepoli del Signore, rende possibile e feconda attraverso uno stile che si distingue per le motivazioni che lo muovono, per la qualità delle relazioni che si stabiliscono,anche oltre l'emergenza, per lo spirito di servizio che lo anima che insieme ne "ornano" la testimonianza generosa. 




Introduzione 



 Le numerose calamità, che pare si rincorrano in modo impressionante, a livello nazionale e internazionale soprattutto in questi ultimi tempi, stanno mettendo a dura prova le popolazioni del pianeta e le loro risorse. Le calamità naturali sono una tremenda realtà, che incutono paura per l’inaudita violenza con la quale si abbattono su di noi seminando rovine e morte, soprattutto perché ci fanno toccare con mano la nostra quasi assoluta impotenza ma con le quali bisogna fare i conti.
Molte di esse ci colgono di sorpresa. Le previsioni degli esperti non sono in grado, in ogni caso, di garantirci l’incolumità, la sicurezza o almeno la possibilità di fuga dal luogo del pericolo: cose che si possono avere solo quando si conoscono con sufficiente anticipo i tempi e le modalità dell’evento furioso che sta per scatenarsi.

Al di là delle riposte concrete, che l’urgenza richiede, è necessaria una riflessione che tutti ci coinvolge: istituzioni, società civile, forze sociali, comunità cristiana e singoli. Una risposta adeguata è possibile solo se si possiedono attitudini culturali e operative che non si improvvisano.
 
Varie tipologie di emergenze - Le emergenze sono di diversa natura e entità. Ve ne sono di quelle non clamorose ma che sono ugualmente tali per la vita della collettività. Dicasi dell'emergenza ambiente, soprattutto per le grandi città e per le zone ad alta concentrazione industriale, dovuta all'inquinamento dell’aria e dell'acqua e alla crescita smisurata dei rifiuti. Sono emergenze striscianti con le quali normalmente conviviamo e alle quali non prestiamo l’attenzione dovuta fino a quando superato il livello di guardia creano allarme. Anche se fanno notizia non inducono da sole a comportamenti collettivi diversi, come sarebbe necessario.

Di qui l’urgenza di promuovere una costante sensibilizzazione a questi problemi ed una educazione specifica alla "Protezione civile". Molto si è fatto, già a partire dagli anni ’70, ma molto resta da fare, in vista soprattutto di un rapporto diverso dell’uomo e della società con l’ambiente naturale e con il territorio. Parlare di protezione civile quando scoppia una catastrofe è già tardi. Occorre prepararsi per prevenire ed essere pronti all'occorrenza per gli interventi resi necessari. Soprattutto è importante far entrare questo tema nella normale azione educativa della scuola, della famiglia, delle istituzioni ed anche della comunità cristiana. Con la presente riflessione vogliamo mettere in luce le motivazioni dell'impegno  della comunità cristiana, della sua pastorale, dei suoi rapporti con la società civile, con lo Stato e con le altre realtà educative e sociali.


  I - C'è, c'era, in Italia, una cultura della Protezione civile


La protezione civile, é un "compito primario dello Stato" definito dal regolamento di esecuzione (1981) della legge 996 del 1970, art. 1 dal titolo "Norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità". Per protezione civile si intende I'insieme di tutte quelle azioni utili a tutelare I’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dalle catastrofi, causate dall'azione dell’uomo, dalle calamità naturali o da altri eventi o dal pericolo di essi.
 
Essa si sviluppa in 3 direzioni:
• previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio;
• soccorso alle popolazioni sinistrate;
• interventi per la ripresa socio-economica delle zone colpite da calamità (riabilitazione - ricostruzione).
 
Può sembrare strano, a prima vista, che la Caritas ed il volontariato che ad essa fa riferimento - e di conseguenza la comunità cristiana - si occupino di un tema così "laico" e, per vari aspetti, così tecnico. La risposta sta nel fatto che la solidarietà che I’emergenza richiede a tutti passa per queste strade, pena il non riuscire, all'occorrenza, a far qualcosa di veramente utile alle popolazioni colpite. Infatti, o si entra in questi ambiti o si resta tagliati fuori dalla possibilità di interventi mirati. Agire individualisticamente e in modo sparso crea solo confusione e danni, come l'esperienza insegna. 

Si deve necessariamente far riferimento allo Stato e al suo piano generale di intervento, perché a lui incombe la responsabilità di una risposta globale e I`obbligo di coordinare e di armonizzare i vari "contributi di partecipazione", che provengono da singoli, gruppi o comunità. Tutto questo legittima la Caritas e la obbliga, in certo senso, ad occuparsi di protezione civile, in quanto il compito assegnatole dallo statuto, di "promuovere la testimonianza della carità della comunità cristiana "in forme consone ai tempi e ai bisogni verso le persone e le comunità in situazioni di difficoltà" (Statuto della Caritas Italiana, art.1.3-a) la spinge ad esperire tutte le vie possibili e a trovare i modi concreti per rendere attuabile quel servizio di solidarietà della comunità cristiana che diversamente rischierebbe di essere più declamato che realizzato. La pastorale della carità non può ignorare i nuovi spazi di presenza e le nuove opportunità di servizio all‘uomo e alle comunità in stato di bisogno, aperti dalla azione di Protezione civile.


 II - Il valore unificante della solidarietà


A tutto deve dare unità il valore etico della solidarietà, largamente condiviso e vissuto da tanti, credenti e non, singoli e associazioni, forze sociali e istituzioni. La solidarietà intesa come legge fondamentale dell'organismo vivente della società, la quale, in modo particolare nei periodi di calamità e di emergenza, ne può riscopre il valore e l’importanza. E' una solidarietà che si ispira alla legge dell’amore come avviene in famiglia dove ci si mobilita per i più deboli, per i malati o per chi è improvvisamente colpito da disgrazie. Qui trova spazio e collocazione ideale il volontariato d’ispirazione cristiana, come pure le diverse realtà ecclesiali - movimenti, associazioni, comunità religiose, ecc. - presenti e attivi, in occasione delle diverse calamità, come è avvenuto a Genova in questi giorni tremendi. A maggior ragione la legge della solidarietà deve manifestarsi nelle comunità cristiane e da esse allargarsi a partire  dalle realtà più piccole e più prossime a quelle più grandi: la famiglia, il vicinato, il territorio, la comunità parrocchiale, la diocesi, la chiesa universale, il mondo intero.


III - La pastorale della carità e la protezione civile: quali rapporti?


E' necessario precisare la giusta collocazione dell' "azione di protezione civile" nell'ambito della pastorale della carità, mettendo in luce i valori comuni e quelli specifici, i metodi di intervento e i rapporti di collaborazione.


 1 - Comunità cristiana ed emergenza


Fa da sfondo il rapporto che nasce e che si sviluppa tra la comunità cristiana e l’emergenza. E’un rapporto ineludibile dal punto di vista etico: la comunità, nel caso dell'emergenza è chiamata dagli avvenimenti calamitosi a correre in aiuto di coloro che ne sono colpiti. Essa si trova di fronte a dei "poveri" da amare e da soccorrere, davanti ai quali non può rimanere né estranea né indifferente, se non venendo meno al "grande comandamento" dell’amore del prossimo che nell'emergenza deve essere  vissuto con modalità particolari.

"Intendere e vivere la carità cristiana nelle emergenze significa, per la comunità cristiana: essere espressione di vera comunione ecclesiale; realizzare un reale interscambio poiché ogni aiuto non è a senso unico e non si limita a fornire solo soccorso materiale. Si tratta infatti di vivere insieme le tensioni, le gioie, le attese della gente; rivolgersi a tutti, senza differenze di classe o di religione, in particolare a tutti coloro che per motivi sociali, condizioni fisiche, istruzione, si trovano ad essere tra i più svantaggiati.
 
 


2 - Formazione civica a senso dello Stato


La comunità cristiana, beninteso, non è chiamata a risolvere in prima persona i gravi problemi di una popolazione colpita dall'emergenza: non ne ha né la competenza né gli strumenti. E’ chiamata invece a dare, in modo efficace e possibilmente efficiente, quella collaborazione di cui si sente capace. Questo rapporto con la società civile e con lo Stato fa avvertire, per la comunità cristiana, "il bisogno di una rinnovata formazione civica che sviluppi una cultura della solidarietà, dove il senso dello Stato venga a far parte del senso della comunità e si guardi alle istituzioni in maniera leale e fiduciosa"(La chiesa in Italia dopo Loreto, 38). E’ un discorso sul quale è bene soffermarsi almeno un istante. l cristiani debbono sentire, anche in questi frangenti, di "lavorare per uno Stato dei diritti e dei doveri, dove ci sia chiarezza di tutela per ogni cittadino. D’altra parte la comunità cristiana é ben conscia di non poter essere la sola promotrice di valori nella società civile. Essa dà, ma al tempo stesso riceve, in una sorta di dialogo esistenziale" (Giovanni Paolo II, discorso al presidente del Consiglio dei Ministri in data 03.06.1985; n. 3, citato nel documento" La chiesa in Italia dopo Loreto n. 39).
Il bene comune, come bene di tutti e di ciascuno, è l'obiettivo ed il criterio che deve orientare ed ispirare la collaborazione. Come ci ricorda continuamente Papa Francesco: "La chiesa deve considerarsi pellegrina con la gente e nella storia del Paese. In questo contesto i cristiani ripropongono una partecipazione che è servizio che nasce dall'amore e dall’interesse per la società civile" (“La chiesa in Italia dopo Loreto” n. 36). Di conseguenza anche la Caritas, ai diversi livelli, quale organismo pastorale della chiesa, è chiamata ad avere e a favorire il rapporto della comunità cristiana con le istituzioni della società civile, ispirato ad un atteggiamento di stima e di sincera collaborazione, tenendo presente, nel caso specifico dell’emergenza, che ogni intervento di protezione civile riveste il carattere di "pubblico servizio". E', nella sua misura, e a suo modo, una applicazione dello spirito del Vaticano II° che ha stabilito, in modo nuovo, il rapporto chiesa-mondo.
 
 


 3 - Lo specifico della comunità cristiana ed il suo stile di presenza


 
Se la comunità cristiana, da un lato, non deve muoversi nella logica della supplenza alle carenze dello Stato, né tantomeno, in concorrenza nei suoi confronti, d'altra parte è tenuta a salvaguardare il suo "specifico", senza dover mortificare "l'espressione originale e creativa della fecondità dell'amore cristiano" (La chiesa in Italia dopo Loreto n 38). Ciò implica:

1) fedeltà all’ispirazione evangelica che la muove. Il suo, infatti, è amore che ha la sua sorgente nello Spirito di Dio e "nella carità di Cristo che la sospinge" (2 Cor 5,14). Perciò non è semplice filantropia, e non si esaurisce nella risposta ai bisogni, ma vuole testimoniare e rivelare, in questo modo, l'amore di Dio per l’uomo che soffre;
 
2) la scelta di privilegiare, nelle operazioni di soccorso, il rapporto personale con i colpiti dalla sciagura. II rapporto personale ha nell’aiuto psico-sociale una sua concreta realizzazione, tanto più necessaria quanto meno praticata. Esso, infatti, non è recepito dai più come doveroso, in quanto comunemente si pensa che, di fronte all'urgenza dei bisogni, ciò che conta é compiere interventi materiali per salvare persone e cose dal fango e dalle macerie. Così si comportano le istituzioni, sia perché la legge non prevede questo tipo di "servizio" personalizzato e sia perché, soprattutto nelle grandi calamità, esse si trovano assorbite in macro-operazioni di soccorso. Anche in questo caso, ci pare, valga tener presente il detto: "una cosa fare e I’altra non omettere".
L’importanza dell’aiuto psico-sociaIe è richiesta dal fatto che gli eventi calamitosi producono contraccolpi di carattere psicologico sui singoli, sui nuclei familiari e sui gruppi sociali, scatenando ansia, paura e disperazione, Questo succede particolarmente in due momenti: nella primissima fase dell’emergenza, e dopo il ritorno alla "normalità", quando gli operatori ed i volontari rientrano. Allora le conseguenze del disastro - mancanza delle persone care e dei propri beni - appaiono in tutta la loro drammaticità, provocando un senso acutissimo di solitudine, accompagnato da smarrimento e da depressione psichica, che stanno all’origine sia dell’assoluta incapacità di impegnarsi nella ripresa, sia dell’evasione nell'alcool che dei tentativi di suicidio.
 
L'aiuto psico-sociale esige in chi vi si dedica una presenza continuativa, una straordinaria capacità di ascolto ed una particolare attenzione all’evolversi degli stati d'animo, almeno fino a quando nelle persone colpite da shock non siano sufficientemente ristabiliti l’equilibrio e la serenità;
 
3) andare in cerca dei più poveri tra i poveri. L’emergenza colpisce tutti, ma evidentemente più degli altri ne subiscono le conseguenze drammatiche le categorie più deboli, quali gli anziani, soprattutto i non autosufficienti, le persone sole, i bambini, gli handicappati, gli incapaci, i malati mentali, ecc.;
 
4) dar vita preferibilmente ad interventi comunitari, suscitando quando è possibile, forme stabili di rapporto tra le comunità colpite e quelle che prestano aiuto. La tipologia più conosciuta e sperimentata in merito è quella dei gemellaggi;
 
5) dare importanza allo stile, sia nella presenza che nell’azione: spesso vale più il modo con cui si dà che quello che si dà. Deve essere evidente a tutti, inoltre, il completo disinteresse di chi soccorre, garantito anche dalla trasparenza nella destinazione degli aiuti e nella loro amministrazione;
 
6) guardarsi, infine, dal pericolo del protagonismo, da un certo trionfalismo o da una autoesaltazione che il bene compiuto può facilmente indurre, soprattutto quando ci si limitasse alla ricerca di una gratificazione individuale o di gruppo.
Il costante riferimento alla Parola di Dio e alla comunità cristiana come soggetto della testimonianza, superando il pericolo di singoli atti individuali, come a sé stanti, può aiutare a non cadere in questo difetto così antipatico e controproducente.
Cristo ha insegnato quale deve essere I’ultima parola che chiude il nostro impegno da cristiani: "Siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che dovevamo" (Lc 17,10).
E San Paolo, quasi facendovi eco, metteva in guardia i cristiani generosi del suo tempo: "Voi che siete i forti, aiutate i deboli, senza compiacere voi stessi" (Rom 15,1). Non solo i singoli ma anche la comunità che opera deve avere questo spirito di semplicità e di umiltà. "Non é lecito alla chiesa vantarsi di quanto essa ha fatto - e fa - per il bene dell'umanità. Tutto ciò che è e fa la chiesa lo deve all'amore gratuito, fedele e misericordioso del suo Signore. Anche la chiesa dunque é serva, come è servo il Cristo e come serva fu e si professa la Vergine Madre"(Evangelizzazione e Ministeri, 40/41).
 


 IV - II ruolo della Caritas


Essendo la Caritas un organismo pastorale della comunità cristiana, ai diversi livelli, quanto finora detto la riguarda sia in ordine al ruolo che essa deve svolgere sia in riferimento al metodo di lavoro.
In questo senso, la Caritas ne è coinvolta direttamente. Ciò implica la necessità di conoscere la protezione civile nella sua natura, nelle sue finalità e nei suoi metodi di intervento, onde essere in grado di informare, di formare e di collaborare.
La sua particolare "funzione pedagogica" la spinge a svolgere, anche in questo campo, un’azione di sensibilizzazione, dentro e fuori la comunità cristiana. In quest’ottica hanno sì rilievo I’azione efficace e il rapido intervento, ma soprattutto lo ha l'azione educativa alla prevenzione, all’auto-protezione e all'aiuto vicendevole.
 
 


 A - Educare alla solidarietà



L’impegno per la protezione civile della Caritas, é perciò uno dei canali e degli strumenti utili per la sua azione pedagogica alla solidarietà. Essa si esprime in vari modi:
• con la opportuna informazione comunitaria ai temi della protezione civile;
• con la formazione specifica di soggetti o di gruppi particolarmente impegnati nell’emergenza;
• attraverso proposte e messe in opera di interventi;
• con I’azione di coordinamento delle realtà ecclesiali che intendono muoversi;
• e, infine, mediante il collegamento con la società civile.
 
Se l’aspetto educativo mantiene la prevalenza, la Caritas può evitare il pericolo, tutt‘altro che ipotetico, di cadere nel tecnicismo o nell’efficientismo e sarà aiutata a far vivere l’emergenza come momento di solidarietà, nella sua dimensione umana e cristiana.

Quest’opera educativa - nei suoi vari aspetti - deve essere svolta in modo continuativo affinché la solidarietà possa diventare veramente costume di vita, ben oltre il momento dell’emergenza in modo che il "mettere a disposizione dei fratelli le proprie energie e i propri mezzi non sia solo il frutto di uno slancio emotivo e contingente, ma la conseguenza logica di una crescita nella comprensione della carità" (Paolo VII Discorso alle Caritas Diocesane, 1972).
 


B - Scegliere strumenti adatti



E’ suo compito, perciò, sviluppare una vasta azione di sensibilizzazione  perché la cultura della protezione civile sia apprezzata nel suo valore e colta nel suo rapporto con la testimonianza della carità. Perché ciò avvenga è necessario scegliere e usare gli strumenti adatti. Quali, ad esempio:
 
i mezzi di comunicazione sociale (giornali, TV locali, internet, radio, audiovisivi, documentari, mostre, piccole pubblicazioni o volantini a larga diffusione, ecc.). L’informazione è indispensabile per la sensibilizzazione e la partecipazione attiva delle persone per orientare in modo positivo l'opinione pubblica locale.

Qui si inserisce anche il discorso, non facile, di una corretta gestione dell’informazione durante il periodo dell'emergenza onde, dentro e fuori la comunità cristiana, si sappia quanto è accaduto e quanto si sta facendo. Questo ha il vantaggio di togliere l'ansia, di prevenire le critiche, le distorsioni, le strumentalizzazioni e di accelerare il coinvolgimento popolare in tutte le fasi dell’emergenza;
 
• la programmazione - fatta anche con altre realtà ecclesiali e civili - di incontri, di dibattiti con esperti e con i responsabili delle istituzioni, allo scopo di favorire un approfondimento culturale che prepari una mobilitazione, la più vasta possibile, delle forze sociali;
 
• e soprattutto una seria azione formativa dei volontari, degli operatori, dei gruppi, da mettere in atto per tempo, affinché siano in grado di rapportarsi in modo adeguato all‘emergenza, sia per l'aspetto tecnico, che per l’aspetto psico-sociale.
 
 
Per svolgere con competenza quest'azione è necessario che la Caritas sia al corrente di quanto viene pubblicato (studi, articoli, trasmissioni) sul tema della protezione civile nei suoi vari aspetti e li metta poi a disposizione di quanti vi sono interessati.
 


C - Avere un programma per la formazione



L‘azione formativa, deve tradursi in un programma articolato che comprenda:
 
- l’ispirazione cristiana del servizio al prossimo e le ragioni  dell'operatività che si va a svolgere;
- la capacità di rapporti umani autentici;
- l‘aspetto tecnico professionale in grado di assicurare interventi mirati e adeguati, valorizzando le conoscenze e le competenze già in possesso degli operatori;
- gli aspetti generali e organizzativi della protezione;
- la conoscenza, della legislazione nazionale e regionale, riguardante la protezione civile (Cfr. “Aspetti legislativi della protezione civile in Italia Caritas Italiana quaderno 36);
- i ruoli specifici della Caritas in questo settore;
- il coinvolgimento dei gruppi di volontariato.
 
I destinatari di questa azione formativa sono, in modo particolare:
- i responsabili, i membri e i collaboratori del "Segretariato diocesano della Caritas per le emergenze" ;
- i membri delle "unita di intervento";
- i volontari: i gruppi o singoli (laici, religiosi/e, sacerdoti).

Sono destinatari di quest‘opera formativa, o almeno informativa, anche i gruppi e i movimenti ecclesiali (Azione cattolica, scouts, ecc.), particolarmente quelli composti da laici raggruppati per categorie professionali (medici, insegnanti, artigiani, operatori sanitari, ecc.); le comunità parrocchiali, quelle religiose e le comunità scolastiche nelle quali, in collaborazione con insegnanti di discipline diverse, si può svolgere una più completa introduzione dei giovani alle tematiche della protezione civile con particolare riferimento alla conoscenza del proprio territorio.
 
 


D - Educare ad un rapporto diverso con l’ambiente naturale



La cultura della protezione civile include anche l’educazione ad un rapporto diverso con l’ambiente naturale e con il territorio. La gente va educata a rispettare la natura ed aiutata a superare una concezione fatalistica ancora assai diffusa, per la quale le calamità in ogni caso, avvengono perché "devono" accadere.
 
Ciò comporta:
 
1) un’educazione al senso della responsabilità personale che tocca il vivere quotidiano dei singoli e della collettività, onde si evitino azioni che potrebbero causare danni all'ambiente e che si traduce soprattutto in un impegno di "auto-protezione";
 
2) una capacità di lettura del proprio territorio che, in concreto, significa impegnarsi a stendere - con I'aiuto di un esperto - e a far conoscere una mappa dei rischi che punti ad individuarne le cause, quelle soprattutto che sono riconducibili all'uomo e alla sua azione;
 
3) la costituzione, là dove è possibile, di "unità di intervento" formata da persone idonee, pronte a rendersi disponibili in qualsiasi momento di bisogno. Esse vanno addestrate anche attraverso una particolare esercitazione chiamata simulazione di emergenza, messa in opera, per dovere di ufficio, da enti previsti dalla legge, con lo scopo di verificare la capacità di reazione e di risposta dei componenti l'unità di intervento.
 
E’ da tener presente che vanno considerate attività di protezione civile, in senso proprio, anche quelle volte alle previsione e alla prevenzione delle varie ipotesi di rischio.
 
a) Sono di previsione quelle attività dirette allo studio e alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi e alla identificazione dei rischi e delle zone del territorio soggette ai rischi;
 
b) sono di prevenzione quelle attività volte ad evitare o a ridurre al minimo i danni conseguenti agli avvenimenti calamitosi, sulla base delle conoscenze acquisite con le attività di previsione.
 
4) La messa a punto di un piano tecnico - organizzativo - operativo, elaborato in merito alle prestazioni che si è in grado di offrire in caso di calamità. Questo piano include anche la dotazione di un’attrezzatura di cose indispensabili per gli interventi, non necessariamente di proprietà della Caritas. Importante è che sia disponibile al momento del bisogno.



E -Mettere in atto collegamenti con il civile



Alla Caritas, come già accennato, spetta tenere i collegamenti con il "civile". I rapporti con le istituzioni si concretizzano:
- facendosi presenti, cioè auto-segnalandosi ai comitati comunali, provinciali e regionali. A questo proposito è bene che presso la Caritas diocesana ci sia un album degli operatori addestrati che ne riporti i nominativi e il tipo di prestazione che sono in grado di dare;
- stimolando la costituzione dei comitati dove non ci sono e il loro funzionamento dove sono inattivi;
- cercando contatti personali con i responsabili della protezione civile a livello locale, per una reciproca conoscenza ed intesa. A questo scopo é bene che la Caritas abbia una persona incaricata di tenere in modo continuativo questi rapporti;
- partecipando ad incontri e a dibattiti, promossi dalle "istituzioni", sui temi della protezione civile, con particolare riferimento alla legislazione»
 


F - Coordinare  le realtà ecclesiali



Alla Caritas inoltre è chiesto di attuare il coordinamento all’interno della realtà ecclesiale per assicurare unità, armonia e maggiore efficacia negli interventi. Si pensi ai gruppi di volontariato, alle comunità religiose, alle disponibilità sparse che si offrono.
Di primaria importanza é la valorizzazione del volontariato in generale e di quello specifico della protezione civile per lo straordinario apporto che sanno dare - quando si eviti con decisione di impiegarlo come manovalanza buona a tutti gli usi - e per l'articolata conoscenza che possono facilmente avere della realtà locale.

Allo scopo di assicurare il carattere della continuità nell’azione di coordinamento, è bene costituire, come è stato fatto in alcune diocesi, il Segretariato diocesano per le emergenze competente sia per la risposta alle emergenze interne (protezione civile) sia a quelle internazionali.
 
Esso dovrebbe raccogliere al suo interno la rappresentanza di tutte le forze ecclesiali impegnate in questo settore.
Va qui annotato che il coordinamento di carattere nazionale nell'ambito ecclesiale spetta, per Statuto alla Caritas Italiana. Essa ha il compito di "indire, organizzare e coordinare interventi di emergenza in caso di pubbliche calamità, che si verifichino in Italia e all'estero" (art. 3,0 dello Statuto).
A questo proposito Paolo VI diceva: "Un coordinamento ecclesiale si rivelerà provvidenziale specialmente in casi di emergenza quando occorrerà organizzare interventi col generoso contributo di tutte le diocesi simultaneamente" (Paolo VI, discorso alle Caritas diocesane, 1972).
Il coordinamento non solo è necessario, per ragioni organizzative ma, è doveroso per motivi ben più importanti, quali; l'unione e I’armonia nella testimonianza della carità, la promozione del bene comune, l’efficacia degli aiuti (è dovere di giustizia!) la valorizzazione delle diverse collaborazioni.
 
Ancora Paolo VI: "Va affermato e promosso il principio del coordinamento, definendone le conseguenze pratiche". (Paolo VI discorso alla prima assemblea di Cor Unum).

"Tutto ciò suppone uno sforzo... per creare armonia e unione nell’esercizio della carità... superando individualismi e antagonismi e subordinando gli interessi particolari alle superiori esigenze del bene generale della comunità". (Paolo VI, discorso alle Caritas diocesane, 1972)

"La carità non ha diritto - pena la perdita del suo accento universale - di indebolire o di compromettere il valore e la portata delle sue “imprese”. Essa, anzi, al contrario, si qualifica per l’unità della visione, l'ordine nella diversità, la continuità nello sforzo, quali segni della sua vitalità e della sua capacità di adattamento ai bisogni del tempi”. "...Così ogni fermento di bene viene opportunamente valorizzato ad utilità della comunità intera e diventa scuola permanente di comunione
".

"I poveri (chi soffre fame, ignoranza e malattia) hanno il diritto che sia assicurata l’efficacia agli aiuti. E’ una questione di giustizia".
(Ibid.)
 
 

Conclusione



Da una indagine promossa dalla Caritas Italiana sugli "Strumenti e metodi per il servizio di carità nella Chiesa locale", risulta che un certo numero di Caritas diocesane si sono "attrezzate" in modo organico e funzionale, costituendo un servizio specifico di protezione civile, nell'ambito del settore emergenza, onde evitare il rischio di inadeguatezza e di improvvisazione al momento del bisogno. Molte altre hanno manifestato il desiderio ed il bisogno di essere aiutate, con riflessioni e indicazioni concrete. E’ ciò che abbiamo cercato di fare anche con questo contributo, sapendo che non è tanto una questione di buona volontà, quanto un problema di carattere culturale che richiede impegno e coraggio.
La comunità cristiana e la Caritas devono ravvisare in questo impegno uno dei "luoghi" dove sono chiamate a vivere la loro missionarietà intesa come "coraggio di amare senza riserve" là dove la gente vive e soffre, "immergendosi particolarmente nelle calamità e nelle urgenze del paese", (La chiesa in Italia dopo Loreto n. 51) sostenute però dalla consapevolezza che "la chiesa particolare riprende nuovo vigore tutte le volte che si allargano i suoi orizzonti verso gli altri. In questo modo essa appare così coinvolta in un compito missionario globale, dentro e fuori dei suoi confini, assunto da tutti i cristiani e rivolto a tutti gli uomini". (Comunione e comunità missionaria n. 24)

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