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GIORGIO LA PIRA
 
 
Nuovo umanesimo
 
 
Nasce nel 1904 a Pozzallo di Ragusa, ma la sua città di elezione è Firenze dove, fin da giovane, partecipa intensamente alla vita culturale e sociale. I suoi interessi culturali spaziano dallo studio delle scienze giuridiche - a soli 23 anni si vede assegnata la cattedra universitaria di diritto romano - alla passione per la letteratura e le arti, tenuta viva anche dall’amicizia con illustri letterati, quali Quasimodo e Papini, mentre accosta e approfondisce la cultura cattolica francese d'avanguardia, in particolare Maritain e Mounier.
Convinto tomista professa una filosofia al cui centro sta la persona umana, attorno alla quale vanno costruite l' "Architettura del nuovo stato democratico". La città dell’uomo va ripensata in termini di solidarietà economica e spirituale tra le persone e la vita sociale concepita come intreccio di diritti e di doveri.
L'elaborazione culturale personale, sotto lo stimolo di un confronto dialettico cercato continuamente sia con altri pensatori cattolici che di diversa ispirazione, non la considera fine a se stessa, ma orientata a tradursi in azione socio-politica diretta. Profondamente convinto che il Vangelo basta a trasformare la società, si impegna a collegare la politica alla lettura e all’applicazione del suo messaggio. Con questo spirito dà il suo apporto alla elaborazione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica riguardanti in particolare le liberta civili e religiose, il diritto al lavoro e il rispetto della dignità dell’uomo e lavorando come deputato al Parlamento, come sottosegretario Ministero del Lavori Pubblici (1950) e come sindaco di Firenze (1951- 1956).
 
 
Un nuovo modo di intendere e di fare politica
 
 
Il professor La Pira considera la politica, contro ogni tentativo di secolarizzazione, "l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio: perché é la guida dei popoli, una responsabilità immensa, un severissimo servizio che si assume” (da una lettera a Pio XII, 1958). Carità e politica sono per lui un binomio inseparabile. Anche quando si rende conto, per esperienza diretta, che 1'attività politica corrente è tutt’altra cosa nei criteri, nei metodi e negli obiettivi, non cambia le sue convinzioni, non abbandona il campo, pur avvertendo di essere sempre più solo a sostenere una logica perdente o addirittura derisa.
Considera l’impegno politico come un modo coerente di essere cristiano, che gli offre la possibilità di servire il popolo ed in particolare i poveri. Ciò lo porta a far politica ”senza approfittarne" e "senza calcolo" e a trasformarla in testimonianza di amore e di difesa della libertà di tutti i cittadini; in luogo di incontro e di dialogo, nel tentativo di superare posizioni ideologiche contrapposte; in un impegno coraggioso, nonostante tutto, per ottenere le riforme sociali; in momento di mediazione e di sintesi tra cultura e vita, fede e storia, ispirazione religiosa e sana laicità.
Solo cosi si spiega la naturalezza con la quale prende iniziative coraggiose e clamorose, da altri considerate spregiudicate o inopportune quali ad esempio la lotta in difesa dei duemila operai del Pignone (1953), la requisizione della fonderia delle Cure (1954) e delle officine Galileo che stanno per smobilitare o delle case e ville vuote che assegna ai senzatetto.
 
 
 
Visione profetico della storia

 
Assiduo lettore della Bibbia sente il fascino dei profeti, soprattutto di Isaia, che cita spesso e ai quali si ispira nel tentativo di guardare dentro i fatti di ogni giorno. Da essi impara a leggere la storia alla luce della Parola di Dio per esplicarne tutte le possibilità e soprattutto per preparare e progettare con stile profetico un futuro diverso. Sa di essere considerato un sognatore ma è convinto che "solo i profeti sono, in ultima analisi, i veri realisti".
Ama l’utopia, quella del Vangelo, quale stimolo e coscienza critica della storia e ripropone senza posa una convivenza umana fondata sulla tolleranza, la fraternità, la giustizia, la pace. Mentre ai credenti ricorda che "la fede esige il rischio di camminare sulle acque del tempo", con i giovani, dei quali condivide le aspirazioni, contesta " alla presente dirigenza politica, l’inintelligenza dell’età nuova della storia e le resistenze intellettuali e politiche all’avanzata verso le frontiere della terra promessa. . ."

 
Lo pace ecumenica

 
Anticipa di anni la larghissima fioritura letteraria, tuttora in atto sul disarmo, la pace ed i pericoli che la insidiano e la necessità di coinvolgere tutti i popoli e tutte le religioni nella promozione di questo bene insostituibile. Il problema della pace lo assilla sempre di più e il lavorare per essa lo entusiasma fino a diventare il motivo ispiratore di tutta la sua attività.
Va gridando ovunque che "la pace è inevitabile. La pace e la distensione non hanno alternative: l'alternativa é solo la morte, l’apocalisse, la distruzione totale, il progetto antigenesi".
Per evitare la guerra "Vertigine dell'utopia nichilista", frutto della “politica di potenza, anacronistica e antistorica", bisogna anzitutto battersi per un mondo senza armi" ottenendo "come punto di partenza per una coesistenza pacifica un disarmo generale e completo. Non basta: la società per superare "la stagione invernale della guerra", deve cercare soluzioni politiche e non militari alle situazioni di conflitto e soprattutto deve combattere ”il sottosviluppo, il razzismo, il colonialismo, l’oppressione”. Infatti "alla politica del disarmo é strettamente connessa quella dello sviluppo: questo rapporto va inserito in una profonda trasformazione dell'intero sistema mondiale di cooperazione tra i popoli". Spinto da un proposito irremovibile di pacificazione e di unità, dalle “idee e dalle proposte passaalle ”iniziative di pace": sono senza numero e di respiro universale. Si fa messaggero di pace a Mosca, ad Hanoi, a Gerusalemme, in Medio Oriente, in Cile; partecipa ad incontri internazionali ad Helsinki, Bruxelles, Budapest, Vienna, Varsavia, ecc.; promuove, in piena guerra fredda, i "Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana", i ”Colloqui per il Mediterraneo", il "Simposium per la pace nel Vietnam", il ”Convegno dei Sindaci delle capitali del mondo" per un patto di pace tra le città secondo una logica che gli è cara: "unire le città per unire i popoli, unire i popoli per unire il mondo".
 
 
 “Le attese della povera gente"
 
 
E’ il titolo di un suo libro pubblicato nel 1952, ma soprattutto è il punto di riferimento della sua azione indefessa. Guarda ai poveri per capirli, per servirli e per prendere stimolo, ispirazione e coraggio nel suo difficile impegno per la giustizia e per la pace. I poveri per lui contano più di tutti: li riceve senza limiti di orario; distribuisce loro la maggior parte del suo stipendio nell'esercizio quotidiano della carità; si fa solidale con essi scegliendo di vivere da povero in una cella del convento di S. Marco. Più il tempo ci distanzia dalla sua morte (1977) più la sua eredità spirituale si fa interessante anche alla luce dei recenti avvenimenti internazionali. Di lui si continua a scrivere, forse perché ”non é mai stato un predicatore ma un esempio".
 
Il senso della sua generosa esistenza e riassunto nel verso di Rostand che spesso ripeteva a se stesso e agli altri: "Il faut forcer l'aurore a naître...", ”Bisogna affrettare il sorgere dell’aurora...".
 
 
 
 
 BIBLIOGRAFIA
 
Bibliotheca Sanctomm, I appendice, voce corrispondente
“Giorgio La Pira venditore di speranza,” di Domenico Bernabei e Paolo Giuntella, Ed. Città Nuova, Roma.

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